Per poter parlare di diritti gay, libertà sessuale e lotta per l'egualitarismo nostrani bisogna analizzare la storia del movimento gay italiano e le sue radici nel Bel Paese dalla sua unificazione ai giorni nostri. Qui la prima parte dall'unificazione nazionale alla fine degli anni '80.
Dall'Unità alla fine dell'Ottocento
Dunque, poco prima dell'unificazione italiana, nel 1860, il Regno di Sardegna era uno dei pochi Stati preunitari a conservare una legislazione omofobica, punendo atti di libidine tra due maschi (non tra due femmine) come reato al buon costume che non porta alla procreazione. Dopo l'Unità il codice penale piemontese non venne esteso all'ex Regno delle Due Sicilie per un motivo:
"il carattere particolare delle popolazioni meridionali". Venne a crearsi la paradossale situazione in cui l'atto sessuale tra due maschi consenzienti era punibile a Milano, Torino e Cagliari, ma non a Napoli, Bari o Palermo.
Nel 1887, con l'adozione del Codice Zanardelli, si abolì ogni differenza tra gli atti omo ed eterosessuali, pertanto si fa risalire al 1890 la depenalizzazione dell'omosessualità in Italia. Una depenalizzazione che si ricorda non essere motivata da un presunto umanesimo progressista di ampie vedute, ma per il semplice fatto vi era la generale convinzione che le popolazioni latine e mediterranee non fossero "inclini" al "vizio" omosessuale come quelle del Nord Europa e forse proprio a causa di questo, il movimento gay da noi arrivò più tardi che in altri paesi dove invece l'omosessualità era punita e perseguitata.
Dall'inizio del Novecento al Fascismo
Sotto l'Italia umbertina si sperimentò la cosiddetta "tolleranza repressiva", cioè la mancanza d'intervento dell'autorità come strategia di controllo di qualcosa che ufficialmente non esisteva. Nel primo dopoguerra, precisamente nel 1921, lo storico della scienza, chimico e attivista Aldo Mieli, partecipò al Congresso internazionale per la riforma sessuale, in Germania, dove stava sorgendo il più grande movimento gay della storia e tentò successivamente di fondare una sezione italiana di liberazione sessuale. Dopo l'avvento del fascismo si trasferì in Francia e poi in Argentina durante la Seconda guerra mondiale, in quanto anche ebreo.
Dopo la costruzione del regime mussoliniano, nel 1930 fu promulgato il nuovo Codice Rocco, in cui non vi era nessuna proibizione nei confronti dell'omosessualità, per non destare scandalo e riponendo la questione alla Chiesa cattolica. Gli atti omosessuali comunque erano punibili con l'ammonizione o il confino, essendo un reato contro la morale o la pubblica decenza ma estranei allo Stato.
Il Codice Rocco è tuttora vigente. Non è impossibile che durante la dittatura fascista ci fossero state proposte e tentativi di criminalizzazione dell'omosessualità su esempio nazista, come non è impossibile che alcuni dei deportati e vittime italiani della guerra nazifascista fossero gay, lesbiche o bisessuali.
Dal secondo dopoguerra agli anni '60
Cambiano i regimi ma non la condizione dell'omosessualità. La nuova Italia repubblicana, sorta dalle ceneri della guerra (e dalla Resistenza) e governata dalla Democrazia Cristiana garantì una continuità con la situazione precedente, che paradossalmente per decenni fu il principale baluardo contro l'inserimento nel codice penale di un articolo antiomosessuale. Tra il 1960, il 1961 e il 1963 si tentò di discutere progetti di legge antiomosessuali, due volte per iniziativa del neofascista Movimento Sociale Italiano e una volta per un certo Bruno Romano, deputato del Partito Socialista Democratico Italiano, nell'intenzione di proteggere i minorenni dalla "corruzione". Celebre fu il caso dei "Balletti verdi", uno scandalo di quel decennio su alcuni presunti omosessuali, che provocò un'isteria mediatica di una fantasiosa congiura che mirava a corrompere l'intera gioventù della Penisola. La DC trovò comunque inopportune queste proposte di criminalizzazione, e insieme alla Chiesa non volle mai si facesse molto "chiasso" sulla faccenda. Bernardino Del Boca e Pepe Diaz, uno spiritualista e un anarchico che aveva già iniziato a parlare di omosessualità con una piccola rubrica sul suo periodico dall'inizio degli anni '50, cercarono di dare più spazio ed ampiezza al tema sulla stampa, molto ardito per l'epoca. Celebre fu anche il documentario di Pier Paolo Pasolini del 1963 in cui fece molte domande anche riguardanti l'omosessualità agli italiani dell'epoca, destando molte perplessità, paura e oscurantismo sul tema. La prima associazione gay in Italia fu fondata quello stesso anno, da Massimo Consoli, col nome di ROMA-1 (Rivolta Omosessuale Maschi Anarchici - prima fase). Complice la stagione sessantottina, si iniziarono a sfatare i primi tabù sul sesso e la sessualità molto radicati nella società borghese del Bel Paese.
Dagli anni '70 agli anni '80
Nel 1971 a Torino venne fondata da Angelo Pezzana una delle prime associazioni gay italiane: il Fuori! cioè Fronte Unitario Omosessuale Rivoluzionario Italiano, con un proprio giornale e un programma rivendicativo. Nel 1972 il ROMA-1 cambiò nome in Fronte Nazionale di Liberazione Omosessuale, Consoli poi diede vita ad un simbolico tribunale per i crimini contro l'omosessualità col premio Triangolo rosa che venne poi intitolato a Pasolini. Sempre nel 1972 si tenne a Sanremo la prima manifestazione gay in Italia contro il Congresso internazionale sulle devianze sessuali, organizzato dal Centro italiano di sessuologia, di ispirazione cattolica con membri di movimenti gay francese, belga e britannico. Nel 1974 il Fuori! aderì al Partito Radicale, unica realtà partitica di allora probabilmente a favore dei diritti gay, con primi candidati apertamente omosessuali nel 1976.
Rimase la "questione omosessuale" nel Partito Comunista Italiano, nella cui sede si tenne nello stesso anno una celebrazione commemorativa in onore di Pasolini, ad un anno dal suo omicidio.
Nel 1980, a Giarre, in provincia di Catania, si consumò un delitto che portò il movimento omosessuale italiano a riorganizzarsi. Due ragazzi, vennero trovati morti, mano nella mano, uccisi da un colpo di pistola alla testa, probabilmente per pregiudizio omofobo. Il caso salì all'attenzione della stampa nazionale e per la prima volta l'opinione pubblica italiana dovette riconoscere l'esistenza di un problema di discriminazione contro la comunità LGBT. Poco tempo dopo, a Palermo, il sacerdote Marco Bisceglia, apertamente gay, con la collaborazione di Nichi Vendola, Massimo Milani e Gino Campanella fondarono l'Arcigay, che si diffuse da lì a poco in tutta Italia (1985), insieme al collettivo delle femministe lesbiche Le Papesse. Il delitto di Giarre mise il seme per la nascita del movimento omosessuale contemporaneo. Anche a Bologna ci fu il primo riconoscimento ufficiale delle istituzioni con la concessione dello storico Cassero.
Nel 1983 morì Mario Mieli, filosofo ed attivista travestito legato al marxismo rivoluzionario, a cui venne intitolato l'omonimo circolo nato dalla fusione del Fuori! e un altro collettivo. A Roma si tennero le prime giornate d'orgoglio omosessuale lo stesso anno. Quest'associazione fece subito i conti con l'epidemia di AIDS scoppiata in quegli anni, offrendo in collaborazione con l'ospedale Spallanzani di Roma la possibilità di fare i test i cui risultati venivano consegnati presso la propria sede per andare incontro alla volontà di non esporsi pubblicamente. Dal 1989 iniziò ad offrire servizi di assistenza domiciliare per persone sieropositive con assistenti sociali, psicologi, assistenza legale e gruppi di aiuto, gestendo anche una casa famiglia per senza fissa dimora. Nel 1988, la deputata socialista Alma Agata Cappiello presentò al Parlamento italiano la prima proposta di legge per riconoscere le unioni omosessuali (in quel caso unioni civili) e una lotta all'omotransfobia.