ho letto, non senza sorpresa, questo intervento
CITAZIONE
tornando al discorso utopico, credo che qualunque tentativo di applicazione alla realtà, che esuli dalla mera spinta ad un ideale cui tendere ma sia chiaramente e apertamente dichiarato impraticabile, sia semplicemente un tentativo da parte di loschi ciarlatani di preparare in terra il proprio regno: l'inferno per gli altri
al di là della provocazione di Frentano, che rischia purtroppo di dare adito apolemiche sterili, vorrei proprio capire perchè questo esempio da parte di una persona che afferma di possedere una fede religiosa: non trovi che anche le religioni (in questo frangente la religione cristiana) siano latrici di messaggi a parer mio condivisibili ma fortemente utopici? dove e quando mai (purtroppo) un luogo in cui si possa "amare il proprio nemico"?
Ho preso a prestito questa considerazione proprio a partire dal fatto che l' utopia "positiva" necessiti di un progetto apparentemente irrealizzabile basato su dei principi giudicati universalmente giusti; e chi è l' "utopista" se non colui il quale non vuole basare le sue preferenze e le sue scelte ideologiche partendo dallo studio della realtà e della più probabile realizzabilità, ma decide di voler seguire un ideale che ritiene giusto pur sapendo che questo ideale resterà verosimilmente irrealizzato?
In questo senso, ricordo un reve pensiero di Michele Serra (non so più se su Tango o su Cuore) in cui definiva l' utopia come "situazione che ai potenti conviene dire sia irrealizzabile".
Lasciando da parte la prima "utopia", quella di Thomas Moore, ed anche i messaggi religiosi, e volgendomi all' era a noi più vicina in termini temporali, mi pare di poter affermare senza tema di effettive smentite che la moderna concezione utopica non possa che svilupparsi come "progetto dell'umanità" per la sua liberazione, la sua redenzione terrena, la costruzione di una società di giustizia e di una società fraterna, piuttosto che come "progetto dell' autore"; tale concezione prende il la e matura anzitutto da una fondamentale osservazione di Marx ed Engels nel Manifesto, e cioè che la società non può essere trasformata dal progetto di un autore, ma solo da un movimento che la vada trasformando dall'interno.
In tal senso, è considerata come un fattore della storia da Mannheim (fattore creativo-eversivo che impelle la storia), mentre l'ideologia ne diviene il fattore di conservazione.
Studi più recenti mirano alla ricostruzione del processo utopico nella storia umana e individuano due grandi linee di movimenti portatori, i movimenti religiosi di salvezza e i moderni movimenti rivoluzionari. I primi, e cioè in particolare il messianismo ebraico e l'annunzio evangelico, impostano il progetto di una società "giusta e fraterna"; il tentativo di realizzazione avviene a livello comunitario.
Addirittura da una sorta di "movimento ereticale" moderno, il puritanesimo, si ha la trasformazione del progetto utopico dal religioso nel politico, cultura che scatenerà varie rivoluzioni moderne, prima fra tutte la Rivoluzione inglese del Lungo Parlamento (1640-1653), la quale inizia la fase costruttiva, la costruzione di una società di giustizia in quattro punti: i grandi principi etici (libertà, eguaglianza, sovranità popolare), sanciti nella prima delle moderne Carte dei popoli, il Patto del Popolo Inglese; la legge, contro l'arbitrio del monarca; il Parlamento eletto come organo della legge; il giusto processo per tutti.
Le rivoluzioni moderne sono quattro: l'Inglese, la Francese, la Russa, la Grande Contestazione degli anni 1960-70. I punti salienti del processo utopico moderno, oltre le rivoluzioni, sono il generalizzarsi del modello democratico, il movimento operaio e il socialismo, il dissolversi degli imperi coloniali, i tentativi di costruzioni di progetti cosmopolitici, anche attraverso movimenti pacifisti ed ecologisti.
L' utopia di costruzione di una società di giustizia si sviluppa in Occidente ma ha carattere universale; i principi etici come i modelli sono universali, universalmente umani. Il suo cammino è difficile e contrastato. Esso comporta una visione positiva e costruttiva della storia umana, e fonda la speranza dell'umanità, una visione e un'attesa di speranza.
Come si può notare, culturalmente si è segnato il passaggio all' utopia storica, rispetto a ciò che prima era franco appannaggio della sfera filosofico-letteraria. Il suo è il senso originario dell'utopia, il processo originario e decisivo, di cui l'utopia letteraria resta comunque un momento accessorio, ma molto valido in termini di apporti ideologici e progettuali.
Riguardo la mia posizione, peraltro molto meno interessante del discorso generale, la stessa risente molto degli studi analitici: non credo ad alcuna utopia, pur riconoscendo in molte di esse dei caratteri di profonda giustizia; non ci credo perchè non credo ad una reale evoluzione del genere umano; non parlo di progressi tecnici, scientifici, artistici, sportivi o di pensiero: in questi campi l' intelligenza umana ha raggiunto traguardi davvero meravigliosi; ma mentalmente l' uomo è rimasto fortemente "preistorico", continua a fare le guerre, ad uccidere, a stuprare, a mentire e a fotter l' altro se solo può