Ciao Tiberio, ecco un sardo di cui noi sardi siamo fieri!

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negramaro3
view post Posted on 21/8/2010, 16:31




Il sardo che inventò i siciliani
E' morto ieri Tiberio Murgia



Uno dei volti più noti del cinema italiano. Aveva 81 anni. Da alcuni mesi malato, Murgia si è spento in una casa di cura per anziani a Tolfa.

Anche adesso qualcuno, dopo 155 film in 50 anni di carriera, si stupirà: "ma come, non era siciliano?". Nossignori, Tiberio Murgia era sardo, sardissimo: natali a Oristano, classe 1929 e l'Isola portata sempre nel cuore o, comunque, denunciata col suo portamento irsuto, sospettoso, poche parole e occhiate torve. Tutta colpa di quel geniaccio di Mario Monicelli che nel 1958 cercava una faccia sicula da aggiungere al drappello di ladri sfigati - Gassman, Mastroianni, Salvadori, Capannelle e il maestro Totò - de I soliti ignoti . L'aveva già adocchiato al ristorante Il re degli Amici, in via della Croce a Roma, quel volto smunto, quel gesticolare secco in un corpo magro e nervoso. Tiberio Murgia lì lavorava come lavapiatti e nelle ore libere faceva il cane da punta in piazza di Spagna, «per cuccare le donne sarde a servizio», così raccontava lui. Monicelli lo fece seguire e convocare a Cinecittà per un provino. Tiberio non conosceva il mondo del cinema, figurarsi il significato della parola provino: comunque fu caricato e portato al cospetto del regista, messo in mezzo ad altre nove facce prese dalla strada («erano tutti siciliani») e sottoposto al test per lunghi giorni. Franco Cristaldi, il produttore, voleva un altro, un siciliano. Monicelli si impuntò: lui, Tiberio Murgia doveva essere Ferribotte. E vinse.

Da allora la vita di quel sardo ignoto, catapultato a Roma in cerca di lavoro (ma anche fedifrago per tradimenti familiari), cambiò drasticamente. Anzi, non subito: perché Tibero dopo aver girato il film era ritornato al lavoro, sotto padrone, e non si capacitava delle battute in siciliano che la gente gli rovesciava per la strada. Non capiva, de I soliti ignoti non sapeva niente anche perché il titolo del film dove lui si aspettava di vedersi sullo schermo era Le madame , che fu invece censurato perché giudicato irriguardoso verso le forze dell'ordine. Finché la produzione, dopo averlo cercato perfino in Sardegna, non lo rintracciò, gli fece firmare uno di seguito all'altro tre contratti milionari - «dieci milioni per l'esattezza, mai visti tanti soldi», ricordava - e il sardo ignoto divenne noto: un divo del cinema.

Meglio, il re dei caratteristi. Perché il ruolo di siciliano geloso, possessivo, cornuto, baffetto malandrino, capelli neri tirati a lucido, mascella sbilenca, portamento altero gli è rimasto appiccicato, un marchio che ha finito per divorarlo, renderlo prigioniero - dal cinema alla tv alla pubblicità - di quel cliché. Solo due volte nei 155 film girati (mai da protagonista) è stato sardo: pastore in due inquadrature di Attila flagello di Dio e buffo sequestratore, capo delle Brigate Pecorine, nel parodistico Paulo Roberto Cotechiño centravanti di sfondamento . Il resto, un siculo perfetto, sempre doppiato (all'inizio da Renato Cominetti), che sbraitava spalancando gli occhi semichiusi o protetti da occhialoni neri, perennemente arrapato davanti a una femmina qualsiasi, pronto a celebri frasi - «peccato di pantalone, pronta assoluzione», «Cammela, componiti», «Femmina piccante, prendila per amante; femmina cuciniera, prendila per mugliera» - spesso condite dall'esclamazione minchia!, con la prima i tirata a lungo.

Curioso, però: un sardo ha reso popolare la Sicilia e la figura stereotipata del siciliano al cinema, prima di Franco e Ciccio e Lando Buzzanca mentre nello stesso anno (1961) in cui Tiberio girava ben 12 film, un siciliano, Vittorio De Seta, faceva grande, ma da un versante nobile, la Sardegna e i sardi con Banditi a Orgosolo .

Paradossi del cinema. Ma paradossale è stata la parabola artistica e umana di Murgia: un'avventura stramba, condita dal suo caratteraccio (sì, nel privato era rigoroso e arrogante) ma in fondo mitigato da un cuor d'oro. Tantissimo cinema negli anni Sessanta (addirittura 50 interpretazioni), poco nei Settanta disperso in commedie sexy e un lento spegnersi nel decennio successivo, con la fine della gloriosa commedia all'italiana e della vocazione del cinema alle facce e ai caratteri regionali. Però il curriculum di Murgia è davvero insolito e ricco. Attraversa i migliori anni del cinema italiano, lavora al fianco di Totò, Sordi, Gassman, Manfredi, Mastroianni, Monica Vitti, Claudia Cardinale. E poi Maurizio Arena, Renato Salvadori, Amedeo Nazzari, Franco Fabrizi, Leopoldo Trieste, Franchi e Ingrassia, Walter Chiari, Ugo Tognazzi, Adriano Celentano, Paolo Stoppa, Ernesto Calindri, ma anche Alvaro Vitali, Ric e Gian. E con le maggiorate dell'epoca, da Liana Orfei a Gina Rovere e stelline come Gloria Guida. E pure con star straniere, da Victore Mature a Peter Sellers a Louis De Funes. E, oltre Monicelli, diretto da registi come Vittorio De Sica e Nanni Loy.

Certo, i titoli memorabili restano pochi: l'esplosivo esordio nel 1958 con I soliti ignoti e il seguito nel 1960 L'audace colpo dei soliti ignoti (brutta invece la terza puntata I soliti ignoti 20 anni dopo ), ancora due film monicelliani, La grande guerra (1959) e La ragazza con la pistola (1968), poi Costa Azzurra (1959), Le svedesi (1960), Caccia alla volpe (1966). Quello che avanza, ed oltre un centinaio di film, è cinema popolare, di cassetta, comparsate di una manciata di minuti o tre pose. Tiberio è disperso fra parodie ( Rocco e le sorelle , Il giorno più corto , Il figlioccio del padrino , A qualcuna piace calvo ) e musicarelli ( Juke box urli d'amore , I Teddy Boys della canzone , Ma che musica maestro , Mina... fuori la guardia , Fontana di Trevi ), film da spiaggia ( Bellezze sulla spiaggia , Ferragosto in bikini , Follie d'estate ) e commedie in costume ( Il tiranno di Siracusa , Nerone '71 , I baccanali di Tiberio ) e tra il comico e il sentimentale ( Le cameriere , Rififì tra le donne , Uomini e nobiluomini ). Per poi approdare negli anni Settanta al filone erotico ( La soldatessa alla visita militare , La liceale, il diavolo, l'acquasanta , Taxi love , Le notti peccaminose dell'Aretino Pietro , La bella Antonia prima monaca e poi dimonia ) e qualche raro cameo in film d'autore ( La diceria dell'untore ).

Se al personaggio del siciliano aveva fatto l'abbonamento, complice la miopia dei produttori che l'avevano usato e sfruttato così, Tiberio almeno cambiava ruolo: è stato mafioso, vigile, poliziotto, autista, pretoriano, detenuto, capostazione, brigadiere, cowboy, sarto, barbiere ma sempre col suo aplomb rigido, la sbruffoneria sentenziosa che riscattava l'aspetto minuto e tracagnotto, la radice plebea che cercava di mascherare con un atteggiamento - questo davvero naturale - da nobile decaduto.

In fondo, sullo schermo, Murgia ha sempre portato se stesso: la fame patita in Sardegna, terzo di nove figli (quattro maschi, cinque femmine), riscattata con strafottenza proletaria (dopo il successo andò a Oristano attraversando la città in Cadillac e due bonone al fianco) e la conquista faticosa di un lavoro che - prima del mestiere d'attore - lo portò anche con la valigia di cartone a fare il manovale, strillone dell'Unità, ambulante, sguattero, perfino un corso a Roma alla scuola del Pci delle Frattocchie per diventare un “quadro” del partito, tentativo fallito perché lui s'era messo con una compagna e, già sposato, era stato radiato dai vertici.

Ecco, l'altra coincidenza fra vita e arte. Il Tiberio geloso e sciupafemmine ha finito per coincidere col Ferribotte dello schermo, o viceversa. Perché a raccontarla, la sua vicenda umana, è una sceneggiatura picaresca pronta da girare, assomiglia ad uno dei tanti personaggi che ha interpretato. Si è sposato presto, nel 1951, e ha avuto due figli. Ma subito ha inanellato un tradimento dietro l'altro (per questo fuggì da Oristano), anche quando convolò a nozze una seconda volta (solo con rito civile, non riuscì ad avere l'annullamento dalla Sacra Rota) avendo un'altra figlia e pure qualcun altro mai riconosciuto. Tiberio era libertino già da giovane e quando arrivò la dolce vita, cavalcò l'onda senza pensieri, scialacquando denaro in cene e macchine di lusso - perfino una Ferrari che la seconda moglie lo obbligò a rivendere dopo sei mesi - dimenticando che in Sardegna c'erano due bambini tra un piatto di minestra e un orfanatrofio. Ma pur chiuso nel suo egocentrismo, Tiberio aveva il senso della famiglia: per esempio pretese che i figli studiassero, ripeteva che, da ignoranti come lo era lui, nel mondo non si andava da nessuna parte.

Aveva sempre tanti piccoli aneddoti da raccontare sul dietro le quinte del cinema (divertente il racconto della scena in cui bisticciava con la Cardinale, lui la prendeva a parolacce in sardo, lei in francese, tanto non si capivano e Monicelli poi doppiava), ha affidato a un libretto le sue memorie di attore «comunista e credente» ma chissà quanto ha edulcorato e inventato, compresa la storia di quando lui, minatore a Marcinelle, si salvò dalla terribile esplosione di gas perché quella notte si era dato malato, preferendo al trapano il talamo adulterino di una compiacente moglie di un suo collega. Non era vero - e di fronte alla figlia Manuela una volta aveva pure abbozzato - ma faceva parte del suo essere dentro e fuori lo schermo: un meraviglioso bugiardo, un palleri simpatico, e nel profondo onesto. Con Oristano aveva tenuto un rapporto dispettoso, nato dai cosidetti futili motivi, ma era una città che amava e che si ricordò di lui, nel 2005, quando Filippo Martinez gli organizzò un trionfale ritorno a casa e un premio a lui intitolato, dedicato ai caratteristi del cinema, che purtroppo non ha mai avuto seguito.

Tre mesi fa Tiberio, sperduto in una casa di cura per anziani, ci parlava di quella festa, e dell'amore per la sua Sardegna, flash di felicità in una mente già sciacquata dall'Alzheimer. Fumava lentamente, con gusto, il corpo rinsecchito in una giacca slabbrata, qualche battuta sagace all'indirizzo delle giovani badanti con l'aria del tombeur in pensione.Ma sempre col mento in alto, inossidabile Ferribotte, esibendo l'alterigia del sardo che ha fatto il siciliano per una vita.
 
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